Dove sono gli psicologi quando domina la guerra?

Vecchie e nuove guerre distruggono e uccidono: dove sono gli psicologi? Non hanno niente da dire?

Proviamo a dargli voce a partire dall’ultima recrudescenza dell’eterna guerra tra ebrei e palestinesi.

E una voce autorevole c’è già: quella di Viktor Frankl così come si può leggere nel suo libro famoso “Uno psicologo nei Lager“.

Riportiamo il brano che si riferisce alla fase psicologica che caratterizza la psicologia degli internati subito dopo la liberazione del Lager:

Durante questa fase psicologica si potè osservare, soprattutto in nature primitive, quanto perseverassero nell’atteggiamento etico preso sotto le categorie del potere e della violenza. Ora, però, dopo la liberazione, credevano toccasse loro di sfruttare arbitrariamente, senza scrupoli e senza preoccupazione alcuna, la potenza e la libertà. Per questi uomini primitivi in realtà era mutato solo il segno delle vecchie categorie morali: il negativo era diventato positivo. Erano stati oggetti del potere, della violenza, dell’arbitrio e dell’ingiustizia e sono diventati soggetti nell’ambito di queste categorie, rimanendo così schiavi delle esperienze passate. I sintomi di questo atteggiamento si palesano in bagattelle dall’apparenza insignificante. Per esempio: cammino con un compagno attraverso i campi, in direzione del Lager, dal quale ci hanno liberato da poco tempo.

D’un tratto ci troviamo davanti ad un campo di fresca semina. Automaticamente mi scanso; l’altro però mi prende al braccio e mi trascina con sè proprio nel mezzo. Balbetto qualcosa, dicendo che non dobbiamo calpestare i campi seminati da poco. L’altro si arrabbia; nei suoi occhi guizza una luce irata , mentre mi urla: -Che ti prende?E a noi non hanno portato via niente?Hanno mandato al gas mia moglie e mio figlio, senza tener conto di tutti gli altri, e tu vuoi impedirmi di calpestare qualche filo di paglia…- Occorre molta pazienza perchè questi uomini ritrovino la verità , del resto quasi banale, che nessuno ha il diritto di commettere un’ingiustizia, neppure chi ha subìto un’ingiustizia. E tuttavia dobbiamo lavorare perchè questi uomini ritornino alla verità; se la si capovolgesse ne deriverebbero conseguenze ben peggiori della perdita di alcune migliaia di semi d’avena per un contadino sconosciuto. Vedo ancora davanti a me il compagno che rimboccando la manica della sua camicia, mi mise il pugno sotto il naso e urlò:-Mi devono tagliare la mano, se non la macchio di sangue, il giorno in cui torno a casa…-E lo dico chiaro e tondo: l’uomo che pronunciò queste parole non era affatto malvagio e fu sempre, nel Lager e dopo, un ottimo compagno”.

Che differenza c’è tra un ebreo liberato dal Lager e un ebreo liberato dalla camera di sicurezza assediata dagli assassini di Hamas che nel frattempo hanno violentato e trucidato gli altri componenti della famiglia ? Entrambi si trovano in una condizione psicologica di rifiuto etico del potere e della violenza che hanno subìto. Ma se sono “nature primitive” come le chiama Frankl, possono credere che tocchi a loro schiacciare gli aguzzini “arbitrariamente e senza scrupoli” con lo stesso potere e la stessa violenza che hanno dovuto subire. Se lo facessero non potrebbero evitare di sottoporre allo stesso potere violento altre vittime altrettanto innocenti di un campo d’avena e dovrebbero con la pazienza di Giobbe, che in guerra si evapora, essere aiutati a ritrovare la verità , niente affatto banale che Frankl enuncia così chiaramente: -Nessuno ha il diritto di commettere un’ingiustizia, neppure chi ha subìto un’ingiustizia! –

La stessa verità che gli assassini di Hamas dovrebbero apprendere per non essere più malvagi come rischia di diventare malvagio , cioè disumano, qualunque uomo che subisce una violenza ingiusta e concepisce il sogno diabolico di farsi giustizia da sè.

Francesco Campione

Un pensiero su “Dove sono gli psicologi quando domina la guerra?

  1. Mi viene solo da dire che gli psicologi, almeno buona parte di quelli che conosco io, si concentrano sul singolo individuo, sulle sue cellule, sull’organizzazione dei neuroni del cervello, sulla sola biologia, mi verrebbe da dire. Si è appannata la dimensione sociale, relazionale. La dimensione spirituale è rinchiusa negli angusti spazi di una religiosità mal interpretata, pensando che appartenga solo al massimo al singolo individuo, e finalizzata alla speranza/illusione del Paradiso dopo la morte. .
    Si guarda solo “dentro” l’individuo, o al massimo attorno, nello stretto circondario, ma non più nel sociale. Il sociale viene dato come fatto di natura. Pensiamo solo alla frase “Lo chiedono i mercati”… Ma chi o cosa siano i mercati nessuno, a livello di massa, se lo chiede. E’ così, e non può essere diversamente. Scambiando per “naturale” quella che è una costruzione, che può anche essere cambiata.
    Terribilmente anche la guerra sembra un fatto naturale.
    Decenni di lotte sociali senza vittorie hanno spuntato tutte le speranze?
    Se anche la guerra è un fatto di natura, ci si può solo adattare, anche psicologicamente. Della serie “io speriamo che me la cavo”.
    E quindi gli psicologi sulla guerra hanno poco da dire.
    Vorrei tanto essere smentita.

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