Uno scatto di Umanità

Condividiamo un’intervista di Pietro Del Re, Robinson- la Repubblica, domenica 12 maggio 2019.

 

Al pianeta serve uno scatto di umanità

Per salvare il mondo dobbiamo tutti rimboccarci le maniche, perché è troppo tardi per essere pessimisti”. Questa frase, il fotografo, regista e ambientalista francese Yann Arthus-Bertrand la ripete ormai da anni, dando lui stesso l’esempio di quanto si può fare per il bene della “nostra casa comune” attraverso la fondazione GoodPlanet, che ha fondato nel 2005 e che nei Paesi più poveri dà vita a una cinquantina di progetti, tutti tesi a uno sviluppo sostenibile. Per aver ritratto il pianeta dell’alto a bordo di ultra-leggeri ed elicotteri, Arthus-Bertrand è stato nominato, evento più unico che raro per un fotografo, accademico di Francia. Da quel lavoro durato oltre vent’anni fra panorami incontaminati e terre criminalmente sfruttate dall’uomo, è nato La Terra vista dal cielo, un libro che ha già venduto più di quattro milioni di copie (parte di quegli scatti è esposta fino al 15 giugno nel bel Castello di Postignano, tra le montagne della Valnerina, e poi di nuovo dal primo settembre fino a fine anno). Nel 2009, il suo film Home, realizzato in collaborazione con Luc Besson e Francois-Henri Pinault, e che tratta di temi simili, è stato visto da seicento milioni di persone, mentre nel 2015 è uscito il documentario Human, che ha girato in sessanta Paesi intervistando più di duemila persone: presentato lo stesso giorno alla Mostra del Cinema di Venezia e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il video è stato in entrambi i luoghi accolto da un uragano di applausi. “è stata ovviamente una grande soddisfazione personale, ma oggi mi sento un ambientalista sempre più frustrato”, dice Arthus-Bertrand.
In che senso?
“Perché nonostante gli allarmi sempre più drammatici lanciati dalla comunità scientifica, i leader del pianeta continuano a vivere nel diniego collettivo del cambiamento climatico. Ora, non si parla di qualcosa che potrebbe forse accadere tra due o tre secoli. Le prime vittime del surriscaldamento saranno i nostri figli e i nostri nipoti, che vivranno in diretta la sesta e forse più grave estinzione della storia del nostro pianeta”.
Eppure c’è una consapevolezza sempre maggiore dei disastri ambientali, di quelli in corso e di quelli futuri. Perché non si riesce a invertire in modo davvero significativo la rotta rispetto a quelle catastrofi?
“La rivoluzione ecologica non partirà certamente da decisioni politiche perché chi ci governa viene eletto proprio per mantenere lo status quo. Non sarà scientifica, poiché gli scienziati, ancora non sanno come sostituire con altre fonti energetiche i novantacinque barili di petrolio che l’uomo consuma ogni giorno. E non sarà nemmeno economica finchè non verrà seriamente rimesso in discussione il dogma della crescita perpetua. Per cambiare il mondo serve una trasformazione ben più profonda delle nostri motivazioni interiori e dei nostri valori. La società occidentale ha bisogno di una sorta di conversione. Sono perciò convinto che non ci sarà una rivoluzione ecologica senza una rivoluzione spirituale”.
È per questo che, pur dicendosi ateo, lei lo scorso dicembre ha pubblicato l’enciclica Laudatto si’ di Papa Francesco corredata con le immagini de “La Terra vista dal cielo”?
“Quell’enciclica è un testo rivoluzionario e che apre la possibilità di creare un mondo migliore, diverso dall’attuale. Francesco è consapevole del fatto che il capitalismo sta distruggendo il pianeta e che quando si dice “salviamo il pianeta” ciò significa salvaguardare la vita stessa del pianeta. Non sono credente, ma quando leggo le parole di Francesco mi sento cristiano”
Qual è l’ultimo luogo che ha ripreso o fotografato dall’alto?
“Sono stato recentemente a Mosul, città distrutta al 90 per cento dai raid aerei della coalizione a guida americana per sconfiggere le milizie dello Stato islamico. Sotto quelle macerie sono rimasti i cadaveri di circa tremila persone. Molte di quelle bombe sono state sganciate dai caccia francesi. E mi sono chiesto come sia possibile che il Paese dei diritti umani abbia potuto fare quello scempio, e com’è possibile che la Francia sia anche il terzo esportatore di armi al mondo e quello dove per colpa dei pesticidi, che si continuano ad usare abbondantemente, è scomparso l’ottanta per cento degli insetti e il trenta per cento degli uccelli? La risposta è purtroppo sempre la stessa: la religione della crescita economica. Per cambiare il mondo dobbiamo sconfiggere questo credo, e sostituirlo con altri valori, quali la bontà, la carità, la generosità, la condivisione. Ne va della nostra sopravvivenza”.

 

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Commento:
Come si fa a non essere d’accordo?
“Per cambiare il mondo dobbiamo sconfiggere la religione della crescita economica, e sostituirla con altri valori, quali la bontà, la carità, la generosità e la condivisione”.
Verrebbe da dire che si tratta di una di quelle affermazioni su cui tutti concordano ma niente cambia. La domanda che ne scaturisce sembrerebbe quindi pratica: come si fa?
Se la storia è maestra di vita, dovremmo ormai avere appreso da tempo dall’esperienza storica che non c’è niente da fare: la bontà viene vinta dalla cattiveria, la carità dall’indifferenza, la generosità dall’avidità e la condivisione dalla competizione degli interessi.
Non resta quindi che rivoluzionare la storia umana facendola ricominciare daccapo su altre basi.
La speranza è che, così facendo, appaia e si riveli ciò che finora la storia umana ha occultato. Con l’uomo appare nell’universo un valore indistruttibile che consiste nel desiderare il Bene a prescindere dalle circostanze più o meno sfavorevoli. Forse la vita umana sulla Terra ha prodotto ormai tanto male che sarebbe giusto si risolvesse in autodistruttività e l’uomo si estinguesse smettendo di turbare il corso della natura.
Ma, nonostante questo, l’uomo continua a desiderare il Bene della vita per sé e tutti gli altri esseri viventi. Di fronte all’abbandono e all’indifferenza altrui verso il nostro male è logico produrre il cinismo della vita attuale, ma nonostante questo, appena vediamo soffrire un bambino tutti corriamo a prestargli aiuto.
Di fronte alla paura che lo straniero invada il nostro mondo e ci tolga i beni che garantiscono la nostra sicurezza, alziamo muri che speriamo invalicabili giustificando la nostra avidità di possesso, ma, nonostante questo, il nostro cuore si allarga ogni volta che doniamo a chi pena qualcosa di prezioso.
Nel conflitto degli interessi, quando qualcuno vuol guadagnare facendoci perdere, ci sentiamo autorizzati a tutelare i nostri interessi e il nostro orgoglio, ma nonostante questo ogni volta che il nostro interesse vince umiliando un altro ci sentiamo responsabili della sua sofferenza e sorge in noi un senso di giustizia.
Il desiderio del Bene però allude al tempo infinito che sarebbe necessario per far trionfare bontà, carità, generosità e condivisione, e da esseri finiti consideriamo che nell’arco della nostra vita non potremo riuscire a far trionfare questi valori, finendo così per rinunciare a perseguirli.
In realtà il desiderio del Bene dovremmo perseguirlo proprio perché fa apparire all’interno della nostra vita finita un tempo infinito che la rende sensata anche quando le realizzazioni pratiche della bontà, della carità, della generosità e della condivisione sono insufficienti, stando necessariamente strette, in quanto compiti infiniti, nel tempo limitato della vita mortale.
Francesco Campione

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